In Italia le condotte tipiche dello stalking configurano il reato di “atti persecutori” (art. 612-bis c.p.), introdotto con il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 (decreto Maroni).
La norma introduce nel codice penale l’articolo 612-bis, nominato “atti persecutori”, che al comma 1 recita:
« Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita ».
A questo articolo si aggiungono alcune norme accessorie, ossia:
1) Aumento di pena in caso di recidiva o se il soggetto perseguitato è un minore.
2) Lo stalking costituisce un’aggravante in caso di omicidio e violenza sessuale.
3) E’ possibile ricorrere alle misure di indagine previste per i reati più gravi, quali le intercettazioni telefoniche e gli incidenti probatori finalizzati ad acquisire le testimonianze di minori.
Questo reato è normalmente procedibile a querela, ma è prevista la procedibilità d’ufficio qualora la vittima sia un minore, una persona disabile, quando il reato è connesso con altro delitto procedibile d’ufficio e quando lo stalker è già stato ammonito precedentemente dal questore.
Il nuovo istituto costituisce una sorta di affinamento della preesistente norma sulla violenza privata: delinea infatti in modo più specifico la condotta tipica del reato e richiede che tale condotta sia reiterata nel tempo e tale da «cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura» alla vittima.
A marzo 2011, al Convegno milanese dedicato a questa tematica, alcuni esperti di diritto, avvocati e professori universitari hanno espresso dubbi di legittimità costituzionale su alcuni aspetti della legge sullo stalking. La questione è ancora aperta.