Stalking: condanna anche in assenza di un referto clinico della vittima

A confermare il reato, secondo quanto sostengono gli ermellini con la sentenza n. 20531 del 19 maggio 2014, è sufficiente l’attività posta in essere dall’imputato, consistente principalmente in pedinamenti, minacce, violenza di tipo psichico. Tanto basta a provare il danno, ossia il perdurante stato di ansia e paura ingenerato nella vittima, ex compagna dell’uomo, nonché il timore per la propria incolumità e per quella del nuovo compagno.
I pedinamenti, infatti, si svolgevano anche presso l’abitazione e l’ufficio di quest’ultimo, oggetto indiretto degli atti persecutori.
Proprio per questo, non ha retto la tesi difensiva secondo la quale la condotta sarebbe stata dovuta alla volontà di rimanere emotivamente attaccati ai luoghi condivisi durante la precedente relazione affettiva, non limitandosi l’imputato a soffermarsi nelle vicinanze della casa della donna, ma ricercandola ovunque.
Ad avviso della Cassazione, infine, «per la natura del disagio psichico, non occorre dimostrare, per ritenere configurabile il reato, l’emergenza di tracce cliniche di detto disagio: va comunque sottolineato che il perdurante e grave stato di ansia o di paura, il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto e l’alterazione delle abitudini di vita costituiscono eventi di danno alternativamente contemplati dall’articolo 612 c.p., dall’altro lato, che ai fini della integrazione del reato de quo non si richiede l’accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612 bis non costituisce una duplicazione del reato di lesioni, il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica».