Cassazione Penale, Sez. V, 16 giugno 2014, sentenza n. 25774/14
La massima
Integra il delitto di sostituzione di persona, previsto e punito dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 494 c.p., la condotta criminosa consistita nella creazione, su un social network, di un profilo che riproduca l’effige della persona offesa e nel conseguente utilizzo, con tale falsa identità, dei servizi del sito, consistenti essenzialmente nella possibilità di comunicazione in rete con gli altri iscritti, indotti in errore dalla identità dell’interlocutore, e di condivisione di contenuti. In punto di elemento soggettivo, il dolo specifico del delitto, consistente nel fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale o non, oppure di recare ad altrui un danno, deve ritenersi integrato nell’ipotesi di utilizzo del profilo al fine di intrattenere rapporti con altre persone (essenzialmente di sesso opposto), ovvero per il soddisfacimento di una propria vanità (costituente vantaggio non patrimoniale), o ancora al fine di ledere la immagine e la dignità della persona offesa, apparentemente titolare del profilo creato dal reo. (Nel caso concreto tale fine è dimostrato dall’aggressione verbale di uno sconosciuto, che accusò l’apparente titolare del profilo di aver insultato la propria fidanzata, minacciandolo di denuncia, nonché dalla rimostranze di una conoscente, che lo accusava di non essere una persona seria).
Il commento
L’evoluzione tecnologica e, in particolare, l’era del web 2.0, impongono non solo al Legislatore di adeguare l’assetto normativo vigente, bensì anche alla giurisprudenza di tenere il passo rispetto alle nuove esigenze di tutela che ne conseguono.
In tale contesto si colloca l’illecito della sostituzione personale sul web. Il nostro codice penale, infatti, punisce, all’art. 494 c.p. “chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, … se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno”. Si tratta di un’ipotesi delittuosa sussidiaria, inserita all’interno del capo IV, titolo VII, denominato “della falsità personale”, posto a tutela della pubblica fede.
La giurisprudenza di legittimità ha cominciato, negli ultimi anni, ad occuparsi dell’ipotesi de qua commessa anche a mezzo internet, configurando il reato di sostituzione di persona nella condotta di colui che crei ed utilizzi un “account” di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet nei confronti dei quali le false generalità siano state declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (Cass. pen., Sez. V, 8 novembre – 14 dicembre 2007, n. 46674).
Successivamente, i giudici di P.zza Cavour hanno riconosciuto il reato suddetto anche nella condotta di chi inserisca nel sito di una “chat line” a tema erotico il recapito telefonico di altra persona associandolo ad un “nickname” di fantasia, qualora abbia agito al fine di arrecare danno alla medesima, atteso che in tal modo gli utilizzatori del servizio vengono tratti in inganno sulla disponibilità della persona associata allo pseudonimo a ricevere comunicazioni a sfondo sessuale (v. Cass. pen., Sez. V, 28 novembre 2012 – 29 aprile 2013, n. 18826 in Giur. Pen. Web. con osservazioni di La Terra, Risponde del reato di cui all’art. 494 c.p. chi crea un falso profilo in chat, associandolo all’altrui recapito telefonico e in Cass. Pen., 2014, 1, p. 148 con osservazioni di Stampanoni Bassi, In tema di sostituzione di persona commessa nella rete). Secondo l’organo giudicante, dunque, il reato di sostituzione di persona ricorre non solo quando si sostituisce illegittimamente la propria all’altrui persona, ma anche quando «si attribuisce ad altri un falso nome, un falso stato ovvero una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici, dovendosi intendere per “nome” non solo il nome di battesimo ma anche tutti i contrassegni d’identità», ricomprendendovi, tra essi, anche i cosiddetti “nicknames”.
Da ultimo, la Suprema Corte è tornata sul punto (Cass. pen., Sez. V, 23 aprile – 16 giugno 2014, n. 25774), chiarendo alcuni profili che sino ad allora lasciavano residuare alcuni dubbi circa la configurabilità del delitto di cui all’art. 494 c.p. tramite l’utilizzo dei c.d. social networks.
Oggetto della tutela penale è, invero, l’interesse riguardante la pubblica fede, in quanto «questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali; siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d’un determinato destinatario, il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome».
Per quanto concerne, invece, l’elemento soggettivo, esso è rappresentato dal dolo specifico consistente nel fine di procurare a se o ad altri un vantaggio, oppure di recare ad altri un danno. Sul punto, orbene, si registra una certa unanimità di pronunce, come quella esaminanda, nel riconoscere nella fattispecie di sostituzione di persona anche il vantaggio “non patrimoniale”: tra i vantaggi ritraibili dall’attribuzione di una diversa identità, vi rientra, infatti, sia la possibilità di intrattenere rapporti con altre persone sia il soddisfacimento di una propria vanità (vantaggio non patrimoniale).
Il delitto in esame, infine, potrà concorrere altresì con quello di truffa (art. 640 c.p.) laddove l’induzione in errore, mediante sostituzione di persona, sia servita a conseguire un profitto con altrui danno.