Sottoposto a perquisizione con denudamento in occasione del termine dei colloqui con i familiari, un detenuto proponeva ricorso dinanzi al competente Magistrato di sorveglianza, tramite il proprio difensore di fiducia.
“Il predetto magistrato osservava che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 526/2000, le ispezioni corporali del detenuto dovevano essere adeguatamente motivate, al fine di consentire l’effettivo controllo giurisdizionale dell’operato dell’amministrazione penitenziaria. Secondo il Magistrato di sorveglianza, la possibilità di prevedere per regolamento interno forme di perquisizione in determinate occasioni ritenute maggiormente pericolose non legittimava in tali occasioni sempre e comunque perquisizioni con denudamento, poiché la perquisizione poteva essere effettuata anche in modo meno invasivo e solo se vi fossero fondati motivi di sospetto era legittima la perquisizione con denudamento, previa esposizione delle ragioni giustificative”.
Il reclamo così proposto dalla difesa veniva accolto.
Sennonché, avverso la predetta ordinanza, proponeva ricorso dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione il procuratore della repubblica presso il medesimo ufficio giudiziario, ivi rilevando che la perquisizione così disposta era del tutto legittima, atteso che in talune circostanze, “la sicurezza interna può essere posta in serio pericolo dall’introduzione di sostanze vietate che non possono essere rilevate da strumenti di controllo alternativi. Nel caso di specie la perquisizione con denudamento era finalizzata ad acquisire tutti gli indumenti del detenuto per poterli controllare in modo efficace”.
Di qui l’intervenuto della Cassazione.
«Le perquisizioni ordinarie, – afferma – [disposte] con le modalità previste dal regolamento carcerario, debbono essere ovviamente effettuate in tutti i casi in cui il suddetto regolamento le prevede. [A tal proposito], sono previste anche perquisizioni straordinarie, per fronteggiare particolari situazioni ovvero nel caso in cui il comportamento del detenuto dia adito ad un legittimo sospetto».
Ebbene, «il Magistrato di sorveglianza nell’ordinanza de qua si è occupato della perquisizione effettuata imponendo il denudamento del detenuto e, uniformandosi a principi contenuti sia nella giurisprudenza della Corte Costituzionale che di questa Corte, ha affermato che la misura del denudamento, in quanto particolarmente invasiva e potenzialmente lesiva dei diritti fondamentali dell’individuo, non può essere prevista, in astratto e in situazioni ordinarie nelle quali il controllo può avvenire senza ricorrere alla suddetta misura, ma deve essere disposta con provvedimento motivato, solo nel caso in cui sussistano specifiche e prevalenti esigenze di sicurezza interna o in ragione di una pericolosità del detenuto risultante da fatti concreti. In proposto, questa Corte ha affermato che la misura del denudamento del detenuto per lo svolgimento della perquisizione personale prima dei colloquio dello stesso con il difensore è legittimamente imposta dall’amministrazione penitenziaria soltanto ove sussistano specifiche e prevalenti esigenze di sicurezza interna, in riferimento a particolari situazioni di fatto che non consentano l’accertamento con strumenti di controllo alternativi, oppure in riferimento alla pericolosità dimostrata in concreto dal detenuto, che renda la misura ragionevolmente necessaria e proporzionata (V. Sez. 1 sentenza del 16.2.2011)».
Accoglie, pertanto, la censura de quo, rilevando come “nel caso di specie la perquisizione con imposizione del denudamento del detenuto[…], in occasione dei colloqui con i familiari, è avvenuta(…) in forza delle asserite disposizioni previste dalla circolare DAP del 16.2.2001, la quale contiene uno specifico richiamo al rispetto degli elementi indicati dalla sentenza della Corte Costituzionale 526/2000”.
Suprema Corte di Cassazione, sentenza n. 12286/2014.