Pena più mite per l’ex coniuge che non versa l’assegno
La di Corte di cassazione – Sezioni unite civili con sentenza 31 maggio 2013 n. 23866, ha stabilito che si applichi una pena più leggera per il coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno alla ex moglie. Ho chiarito , infatti, che il rinvio, ai fini della pena, all’articolo 570 del codice penale, contenuto nella legge sul divorzio, deve intendersi riferito al primo comma che prevede come alternativi il carcere (fino ad un anno) o la multa (da 103 a 1032 euro), e non al secondo comma che applica le pene congiuntamente. Con tale decisione ha annullato una sentenza della Corte di Appello di Torino che, di contro, aveva condannato un marito per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla ex moglie alla pena di tre mesi di reclusione e 500 euro di multa.
Precedentemente la 6 Sezione penale della Corte, aveva posto la questio alle Sezioni unite, evidenziando la possibile insorgenza di un contrasto interpretativo in merito , sollevata dal ricorrente, dell’applicabilità quoad poenam del comma primo, ovvero del comma secondo dell’art. 570 cod. pen. all’ipotesi di violazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile di cui all’art. 12-sexies legge n. 898 del 1970. Il precedente orientamento intendeva il riferimento alle pene di cui al secondo comma, in quanto la violazione ha ad oggetto la violazione di un obbligo di natura economica e non di assistenza morale. Le Sezioni unite hanno stabilito come la condotta definita dall’art. 12-sexies : «Al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene »: “delinea una precisa e specifica fattispecie integrata dalla violazione di un provvedimento del giudice”. Dunque: “Si tratta di un reato omissivo proprio, di carattere formale, essendo individuato il soggetto attivo soltanto in chi è tenuto alla prestazione dell’assegno di divorzio e consistendo la condotta nell’inadempimento dell’obbligo economico stabilito dal provvedimento del giudice”. Per cui di conseguenza: “il richiamo all’art. 570 cod. pen. è limitato soltanto alla pena”. Con ciò inserendo una interpretazione più favorevole al reo e con l’esito che :“evita ulteriori disarmonie di trattamento tra la tutela del coniuge convivente, penalmente tutelato soltanto se versa in stato di bisogno (art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen.) e quella del coniuge divorziato; tra la tutela dei figli minori in costanza di matrimonio (situazione disciplinata soltanto dall’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen.) e la tutela dei figli minori nell’ipotesi di divorzio (e, dopo il 2006, anche di separazione); tra la tutela di figli maggiori inabili al lavoro (art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen.) e quella dei figli maggiori non autosufficienti in caso di divorzio (e, dopo il 2006, anche di separazione”.