La previsione normativa che riguarda l’introduzione del POS negli studi legali dal 30 giugno 2014, corrisponde a chiari intenti di semplificazione e non sancisce affatto che tutti i professionisti debbano dotarsi di POS, né che tutti i versamenti di denaro agli avvocati debbano essere effettuati tramite “bancomat”, ma solo che, nel caso il cliente voglia pagare con una carta di debito, il professionista possa accettare tale forma di pagamento.
In altre parole, salvi i limiti legali (perché già regolamentati: ad esempio il divieto di pagamento in contanti oltre la soglia di mille euro, art. 49, d. lgsl. 231/2007), la volontà della parti (cliente ed avvocato) resta ancora il riferimento principale per la forma di pagamento. A mero titolo esemplificativo, i clienti che usano effettuare i pagamenti tramite assegno o bonifico bancario potranno proseguire con tale mezzo.
A ben vedere, dunque, la normativa di cui trattiamo introduce quindi un onere, e non un obbligo giuridico, ed il suo campo di applicazione è ridotto ai casi nei quali i clienti chiederanno all’avvocato di saldare la parcella con carta di debito. Se, nel caso, l’avvocato fosse sprovvisto dello strumento POS, tale mancanza non libererebbe il debitore dall’obbligazione. Nessuna sanzione è infatti prevista in caso di rifiuto di accettare il pagamento tramite carta di debito.
Si ricorda infine che la normativa di attuazione (DM Sviluppo economico 24 gennaio 2014) fornisce la definizione di “carta di debito” (“strumento di pagamento che consente al titolare di effettuare transazioni presso un esercente abilitato all’accettazione della medesima carta, emessa da un istituto di credito, previo deposito di fondi in via anticipata da parte dell’utilizzatore, che non finanzia l’acquisto ma consente l’addebito in tempo reale”) e fissa il limite di valore oltre il quale si applica il predetto onere per pagamenti di importo superiore ai trenta euro (cfr. art. 2, comma 1, DM cit.).