Cos’è il “mobbing”? In cosa consiste? E’ il comportamento del datore di lavoro, del superiore gerarchico (c.d. mobbing verticale) o del lavoratore di pari livello (c.d. mobbing orizzontale) o del subordinato, per cui sistematicamente ed in modo protratto nel tempo (almeno una volta a settimana e almeno per sei mesi), vengono posti in essere atti ostili, di prevaricazione, persecuzione psicologica verso il lavoratore all’interno dell’ambiente lavorativo, cui può seguire la mortificazione morale di quest’ultimo e perfino l’emarginazione, e la lesione dell’equilibrio psicofisico e complessivo della personalità (si veda la sent. Cass. n. 3875/09).
La Corte di Cassazione (Cass. pen. sez. VI, sent. n. 685/2011 del 13 gennaio) ha affermato che il c.d. mobbing non ha una rilevanza autonoma penale nel nostro ordinamento (già la IV sezione della Cass. pen. con la sent. n. 26594/2009 aveva afferma tale principio di diritto). La citata giurisprudenza afferma che il mobbing integra una fattispecie punibile penalmente solo quando “il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense e abituali, da consuetudini di vita tra i detti soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia“. E’ il caso dei maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., che punisce anche le condotte di maltrattamento di persona sottoposta ad autorità di qualcuno o affidatagli per ragione di istruzione, o per l’esercizio di una professione.
Al di là di questi casi la persona vittima di mobbing potrà esperire come rimedio solo l’azione civile per risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, causato dal datore di lavoro che ha violato gli obblighi e i doveri ex art. 2087 c.c. posti a tutela della personalità morale e dell’integrità fisica del lavoratore. Per esperire sia l’azione civile che quella penale chiaramente è necessario poter provare il fatto, ad esempio producendo i documenti medici e delle relative spese (psicologo, farmaci..) sostenute a causa della sofferenza patita.
Nel 2013 la Cassazione penale, con la sent. del 3 luglio 2013, n. 28603, tratta di mobbing in forma attenuata: è il caso dello “Straining”, consistente nel causare in modo forzato uno stress sul luogo di lavoro, mediante almeno un’azione, a durata costante. Cioè compiere un’azione costante con effetto negativi che durano nel tempo (ad esempio lo svuotamento di mansioni o il demansionamento).
Gli ermellini chiariscono che nelle multinazionali, nelle aziende di grandi dimensioni, è difficilmente configurabile il mobbing, in ragione del rinvio al 572 c.p. che fa riferimento a relazioni familiari. Ciò non esclude che gli stessi comportamenti possano integrare altri reati. Materialmente l’art. 572 c.p. si intende realizzato nel caso di percosse, lesioni, minacce, ingiurie, diffamazioni, ed anche per atti di disprezzo, umiliazione, privazione, asservimento, tali da causare sofferenze durevoli, morali e fisiche… Il giudice avrà il compito di accertare se i comportati siano assorbiti nel delitto di maltrattamenti o se siano ipotesi di reato autonome volute dal colpevole, e quindi concorrenti con il primo delitto (29.05.1990 Cass. sez. 6, n. 16661).