Il reato di atti persecutori non si applica se le condotte sono state poste in essere all’interno della famiglia, dove il codice prevede la diversa fattispecie dei maltrattamenti (in famiglia). Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Termini Imerese, ordinanza 2090/2010, nel comminare la misura cautelare del divieto di dimora nel comune di residenza della moglie ha tracciato la linea di demarcazione fra le due fattispecie.
Lo stalking, spiega il Gip, si inquadra in un ambito in cui o non vi sono affatto legami di tipo domestico – come ad esempio in un contesto lavorativo o di semplice conoscenza – oppure riguarda soggetti già legati in precedenza da una semplice relazione sentimentale. Del resto, ad esplicitare ulteriormente l’assenza di un legame familiare è il tenore letterale dell’aggravante di cui al secondo comma dell’articolo 612 bis (atti persecutori), che è integrata nel caso in cui “il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa”. “A ritenere diversamente – argomenta il giudice – dovrebbe affermarsi che il reato di atti persecutori sarebbe meno grave se commesso ai danni del coniuge non legalmente separato”.
Dunque prosegue la sentenza: “Non può certo trascurarsi la circostanza che il legislatore abbia fatto riferimento appunto alla separazione legale, al divorzio o alla semplice relazione affettiva precedente, tutte ipotesi in cui comunque il legame latu sensu familiare o non c’è mai stato o è cessato a seguito di un provvedimento giurisdizionale”.
Anche se poi, osserva il giudice “il reato di maltrattamenti in famiglia, per tradizionale riconoscimento da parte della giurisprudenza sia di merito che di legittimità, si ascrive in un contesto di persone non necessariamente avvinte da parentela, affinità, pur tuttavia fra le quali – anche se non conviventi – vi sia un legame di assistenza e\o protezione”. Dunque, come sostiene anche la Cassazione, “il reato di cui all’articolo 572 Cp (Maltrattamenti in famiglia) si può comunque configurare anche in assenza di un rapporto di convivenza, purché il legame sia comunque configurabile, e non possa ritenersi venuto meno per qualche circostanza”.
Vero è che ai maltrattamenti in famiglia, una volta cessato ogni legame, ad esempio fra coniugi legalmente separati, potrebbe seguire il reato di atti persecutori, qualora la condotta del soggetto perdurasse nel tempo assumendo le caratteristiche descritte dalla norma.
Al contrario però potrebbe perdurare il reato di maltrattamenti anche quando si tratti di soggetti legalmente separati o divorziati, quando ad esempio persistano relazioni abituali fra i soggetti.
Nel caso specifico, sebbene il marito si fosse trasferito presso la casa dei propri genitori – di fronte all’abitazione coniugale – le condotte denunciate sono maturate “comunque in ambiente domestico e senz’altro in un ambito nel quale non possono certo dirsi venuti meno i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale che nascono dal rapporto coniugale (in senso perfettamente conforme, Cassazione penale 22\9\03 n. 49109)”.
Dunque, per il tribunale, sussiste la materialità del reato di cui all’articolo 572 Cp che si è “estrinsecato in una condotta abituale posta in essere con più atti, percosse, ingiurie, minacce e violenze che hanno determinato sofferenze fisiche e morali nella persona offesa, atti avvinti dall’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica e morale della moglie infliggendole sofferenze, privazioni ed umiliazioni che costituiscono fonte di un disagio continuo e comunque incompatibile con le normali condizioni di vita”.
In ultimo, come riconosciuto dalla giurisprudenza più recente, il reato di violenza privata è assorbito in quello di maltrattamenti essendo finalizzato al maltrattamento, mentre restano autonomamente sanzionate le lesioni, pure subite dalla persona offesa.