Con la pronuncia numero 31121, depositata il 15 luglio 2014, i giudici della sesta sezione penale della Corte di Cassazione si sono pronunciati in ordine ai presupposti di operatività della fattispecie di reato nota come maltrattamenti contro familiari e conviventi di cui all’art. 572 c.p. («Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni»).
La Corte, in particolare, ha aderito a quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la norma di cui all’art. 572 c.p., non riguarda solo i nuclei familiari costruiti sul matrimonio, ma qualunque relazione che, per la consuetudine e la qualità dei rapporti creati all’interno di un gruppo di persone, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tradizionalmente propri del nucleo familiare. E’ infatti in contesti del genere – continuano i giudici – che sorge la primaria esigenza di tutela assicurata dalla norma incriminatrice, cioè quella di evitare che dai vincoli familiari nascano minorate capacità di difesa a fronte di sistematici atteggiamenti prevaricatori assunti da un componente del gruppo.
Alla luce di ciò, dunque, tale fattispecie non esige affatto il carattere monogamico del vincolo sentimentale posto a fondamento della relazione, e neppure una continuità di convivenza, intesa quale coabitazione: è necessario piuttosto, ed unicamente, che detta relazione presenti intensità e caratteristiche tali da generare un rapporto stabile di affidamento e solidarietà.
In senso conforme v. Cass. Pen., Sez. V, n. 24688 del 17/03/2010 in Foro It., 2011, 6, 2, 385 secondo cui «il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di una persona legata all’autore della condotta da una relazione sentimentale, che abbia comportato un’assidua frequentazione della di lei abitazione, trattandosi di un rapporto abituale tale da far sorgere sentimenti di umana solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale».
Nel caso di specie – conclude la sentenza – la fattispecie incriminatrice in questione deve ritenersi certamente configurabile nell’ambito di un rapporto di convivenza duraturo (specificamente circa due anni) con un soggetto già coniugato, nell’ambito di un alloggio istituito come luogo di svolgimento del rapporto di coppia, che si concretizzi, quando possibile, in coabitazione.
Cassazione Penale, Sez. VI, 15 luglio 2014 (ud. 18 marzo 2014), n. 31121
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