Madre può trasferirsi senza perdere il collocamento dei figli

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La madre presso cui siano stati collocati i figli minori dopo la separazione dal marito è libera di trasferirsi in un’altra città, portando con sé la prole quando ciò sia necessario per andare a lavorare altrove. È questa la sintesi di una sentenza appena emessa dalla Cassazione (1) e che sembra, in parte, contraddire quanto in precedenza deciso da altri giudici. Anche senza il consenso dell’ex, alla donna – figura insostituibile per la crescita dei minori – spetta il diritto di seguire il proprio lavoro, di fatto rendendo più difficoltosa all’altro genitore la visita dei figli (quest’ultimo, al massimo, potrebbe chiedere una riduzione dell’assegno di mantenimento in considerazione delle maggiori spese di viaggio da affrontare).

È anche vero che, a determinare tale decisione dei giudici supremi non è stato il fatto che la parte in causa fosse proprio una loro collega (un magistrato), ma che la distanza rispetto all’uomo fosse di appena un’ora (il che avrebbe determinato un disagio non così grave per il padre).

Le figlie – si legge in sentenza – anche se ormai affrancate da una stretta dipendenza materiale e fisica dalla madre quanto alle esigenze primarie e più elementari di vita, se comunque minori, restano bisognose della figura materna, apportatrice di una speciale carica affettiva capace di trasmettere senso di protezione e sicurezza altrimenti insostituibili per il loro armonico sviluppo psico-fisico.

Conta di meno, dunque, secondo la Cassazione, la perdita del legame quotidiano con il padre che la perdita del lavoro per la madre.

In base alla nostra legge, il giudice dovrebbe avere a riferimento solo il principale interesse dei minori e decidere per come più rispondente alle loro necessità. Ma se in passato, per i tribunali, è stato prioritario non distaccare i piccoli dall’ambiente in cui sono cresciuti e dalla figura paterna, in questo caso la Cassazione punta sulla capacità di adattamento dei bambini e sulla necessità di un reddito per poter vivere. In sentenza si fa proprio riferimento alla “particolare duttilità e capacità di adattamento alle novità” della prole.

Alla Cassazione non è interessato neanche che la donna, anche se avesse rifiutato il trasferimento, non avrebbe certo perso il posto.

(1) Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n° 9633/15