La diffamazione su Facebook

  • penale

Con la sentenza del G.I.P. di Livorno 2 ottobre – 31 dicembre 2012, n. 38912 ancora una volta la rete viene presa in esame come mezzo di esecuzione di reati ed in particolar modo assume rilevanza la grande potenzialità del social network per eccellenza, Facebook come mezzo di divulgazione del pensiero nonché mezzo di diffusione di notevole efficacia.

Come è noto e come del resto è stato giustamente sottolineato dal G.I.P. i social network (Facebook, MySpace e altri) sono “piazze virtuali”, cioè dei luoghi in cui via Internet ci si ritrova portando con sé e condividendo con altri fotografie, filmati, pensieri, indirizzi di amici e tanto altro.

Di conseguenza sono lo strumento di condivisione per eccellenza e rappresentano straordinarie forme di comunicazione, anche se comportano dei rischi per la sfera personale degli individui coinvolti.

La rivoluzione digitale, con l’avvento dei computer e della rete globale, ha posto le basi per una nuova dinamica dei flussi informativi. Al concetto di bidirezionalità che consente parallelamente di fornire ed acquisire informazioni sempre più dettagliate, si sono affiancati fattori oggettivi che hanno apportato indubbi vantaggi. Internet, web, banda larga, wireless, hanno consentito da un lato, di ridurre in maniera esponenziale i tempi di trasmissione delle informazioni internet, e dall’altro l’abbattimento delle distanze fisiche.

E’, quindi, naturale che in considerazione proprio di queste nuove potenzialità della rete ed in particolare del web 2.0, è necessario un giusto ed equilibrato bilanciamento tra principi sacrosanti come la tutela della libertà di manifestazione e circolazione del pensiero e la tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti che assumono anch’essi un rango di carattere costituzionale e potrebbero essere lesi da un esercizio sconsiderato della libertà in questione. Si pensi ad es. all’onore, alla reputazione, alla dignità personale, alla riservatezza, al buon costume, alla morale pubblica. E’ ovvio che la soluzione vada trovata caso per caso di fronte ad un potenziale conflitto, cercando di tutelare l’interesse ritenuto preminente.

Il caso di specie rientra, purtroppo, tra i più frequenti: un ex dipendente di un centro estetico licenziato, a suo dire, ingiustamente pubblica dei post offensivi sulla “bacheca” del proprio profilo Facebook dal contenuto volgare e tenore chiaramente denigratorio rispetto alla professionalità del centro estetico.

Come il G.I.P. osserva la fattispecie integra tutti gli elementi del delitto di diffamazione:

la precisa individuabilità del destinatario delle manifestazioni ingiuriose (nel caso di specie l’ex dipendente ha espressamente fatto riferimento al Centro Estetico ETEREA nel quale ha lavorato come dipendente);
la comunicazione con più persone alla luce del carattere “pubblico” dello spazio virtuale in cui si diffonde la manifestazione del pensiero del partecipante che entra in relazione con un numero potenzialmente indeterminato di partecipanti e quindi la conoscenza da parte di più persone e la possibile sua incontrollata diffusione;
la coscienza e volontà di usare espressioni oggettivamente idonee a recare offesa al decoro, onore e reputazione del soggetto passivo.
Anzi l’utilizzo di Internet integra l’ipotesi aggravata di cui all’art. 595, co. 3, c.p. (offesa recata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità), poiché la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio rende l’agente meritevole di un più severo trattamento penale.

Il web 2.0 quindi non può e non deve essere considerato una “zona franca” del diritto, bensì come uno degli ambiti nei quali l’individuo svolge la sua personalità e che necessita di una disciplina idonea ad attuare le tutele previste dall’ordinamento.

L’onore consiste nel sentimento che il soggetto ha di sé e del proprio valore; la reputazione, invece, nel sentimento che di tale soggetto ha la collettività.

L’onore, tutelato dalla fattispecie dell’ingiuria, può essere leso, pertanto, solo in caso di offese rese in presenza del destinatario; la reputazione, tutelata dalla fattispecie della diffamazione, solo in caso di offese fatte in presenza di altri.

Stante il divieto di analogia in materia penale, non sembra possibile assimilare le comunicazioni via internet a quelle telefoniche, mentre appare opportuno avvalersi di un’interpretazione estensiva delle espressioni “scritti” e “disegni” di cui all’art. 595 c.p., riferibile anche ai contenuti diffusi via internet.

Quanto al requisito richiesto dalla norma, secondo cui gli atti lesivi devono essere diretti alla persona offesa, non si hanno dubbi che ciò accada allorché il messaggio sia veicolato da posta elettronica all’indirizzo del destinatario. Più problematica risulta l’ipotesi in cui l’offesa sia veicolata attraverso un mezzo che raggiunge più persone contemporaneamente (newsgroup, mailing list, siti web, social network). In questi casi, si ritiene non si integri il delitto di ingiuria, bensì quello di diffamazione aggravata.

L’ampia casistica in materia di condotte diffamatorie presenta un intimo legame con l’attività giornalistica e la libertà di informazione, tale che l’evoluzione della giurisprudenza ne risulta fortemente influenzata. Si registra che un vastissimo numero di pronunce sia diretto all’accertamento della possibilità di invocare le scriminanti del diritto di cronaca e del diritto di critica nell’ambito della professione giornalistica.

Ma si pensi alle opinioni espresse attraverso siti internet, newsgroup e blog, social network, che non necessariamente costituiscono mezzi di informazione giornalistica e per le quali non sono invocabili i diritti di cronaca o di critica.

Per molti, però, il diritto di critica non sarebbe una mera specificazione del diritto di cronaca e come tale non sarebbe invocabile esclusivamente da chi esercita l’attività giornalistica. Ma lo stesso diritto di critica ha un carattere autonomo e può essere esercitato da chiunque, nel rispetto dei confini stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di diritto di cronaca: a) utilità sociale dell’informazione; b) verità; c) forma civile dell’esposizione dei fatti.

Ovviamente nel caso di specie siamo ben al di fuori di una simile ipotesi.