La Corte di Giustizia dell’Unione Europea riconosce il congedo matrimoniale anche ai lavoratori gay

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Un altro piccolo passo verso l’uguaglianza o, verso la non discriminazione fra lavoratori è stato compiuto dalla CGUE.
Il massimo organo giurisdizionale a livello comunitario, ha, infatti, riconosciuto ad un lavoratore omosessuale francese, che aveva contratto un Pacs con il proprio compagno, il congedo matrimoniale, nonché una particolare indennità, nonostante il contratto collettivo nazionale di categoria condizionava questi benefici alla celebrazione del matrimonio.
Molti hanno esultato all’indomani della pubblicazione della sentenza resa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Causa C-267/12), ma pochi hanno compreso la pratica difficoltà di utilizzarla, in Italia, al meno, come precedente, perchè, da noi, i Patti civili di solidarietà, i cc.dd. PACS, non hanno trovato alcun ingresso e non sono disciplinati da alcuna norma.
Mi spiego!
La Francia, all’epoca dei fatti oggetto di causa, non riconosceva il matrimonio fra persone dello stesso sesso, quindi, la Corte dell’Unione Europea, partendo dal presupposto che le coppie omosessuali non avevano altra scelta per disciplinare i loro rapporti, se non ricorrere ad un Pacs, ha riconosciuto al lavoratore omosessuale, che aveva concluso detto patto, tutti quei benefici previsti, dal contratto collettivo, in favore dei lavoratori (etero) che contraevano matrimonio.
La CGUE, dunque, non ha fatto altro che equiparare i Pacs al matrimonio, eliminando ogni disparità di trattamento, ma specificando che la sua interpretazione è da intendersi limitata ai Patti siglati fra persone dello stesso sesso, poiché i lavoratori eterosessuali potevano benissimo sposarsi, diversamente dai loro colleghi omosessuali.
La clausola contenuta nel contratto collettivo di lavoro impugnata dal lavoratore francese è stata, dunque, ritenuta discriminatoria ed in contrasto con la Direttiva 2000/78/Ce, volta a stabilire un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
Questo è quanto accaduto relativamente alla Francia: in Italia, non abbiamo le stesse norme!
I Pacs non sono disciplinati da alcuna norma.

Per chi lo desidera, è possibile stipulare un contratto di convivenza, che non è vietato dalla legge, anzi: due (o più) persone che convivono, indipendentemente, dal loro sesso, possono siglare un contratto con il quale disciplinare alcune questioni di carattere economico – patrimoniale.

Il patto così siglato è perfettamente valido ed efficace, ma non esiste, per il momento, una norma che ne vada a disciplinare il contenuto o l’efficacia fra le parti e verso i terzi, ovvero ne indichi l’ambito di applicazione.
La Francia, alle parti che stipulano un Pacs, riconosce dei diritti e fa discendere anche degli obblighi e dei doveri ben precisi e prevede una regolamentazione analoga a quella prevista per il matrimonio.
Ne consegue, che in Italia dove è lasciato tutto all’autonomia delle parti, il lavoratore che sottoscrive un contratto di convivenza, anche se omosessuale, non potrà in alcun modo giovarsi di tutti quei benefici garantiti a chi contrae matrimonio.
… e se il lavoratore gay italiano decide di convolare a giuste nozze, per esempio, recandosi in un altro Stato, può giovarsi del congedo matrimoniale?
La risposta dovrebbe essere negativa, poiché si dibatte ancora oggi sulla validità dei matrimoni gay celebrati all’estero e soprattutto sulla loro trascrivibilità nei registri di stato civile italiani.
Ma qualche cosa, nel frattempo, si sta movendo!
Stufi di aspettare il varo di leggi che giacciono in Parlamento, l’autonomia contrattuale sopperisce ai “vuoti normativi” e lo fa riconoscendo ai lavoratori gay, che contraggono matrimonio all’estero, il congedo matrimoniale.
Basta fare una piccola ricerca in rete per “scoprire” che sindacati e imprese hanno raggiunto, in molti casi, specifici accordi, per equiparare i “matrimoni”.
Mi riferisco “alla vittoria di Elisa”, che, questa estate, ha potuto usufruire del congedo matrimoniale per potersi sposare in un paesino tedesco o all’Alma Mater di Bologna e alla Servizi Italia di Parma che hanno riconosciuto un analogo trattamento ai propri dipendenti che si recano all’estero per sposarsi.
Abbandonare dei pregiudizi non è facile, la sentenza della CGUE può aprire alcuni occhi, ma non è sufficiente, spetta al Legislatore italiano, tanto indaffarato a farci uscire dalla crisi economica a prendere le redini in mano, forse ora, per guadagnare qualche voto in più alle prossime elezioni, qualche cosa si muoverà.