Con la sentenza n. 21917 del 16 ottobre 2014 i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso degli eredi del de cuius, un medico morto a seguito di malattia professionale contratta mentre operava a stretto contatto con i raggi killer di un centro nucleare.
La formula attraverso cui moglie e figlio chiedevano il ristoro di tutti i danni «patiti e patiendi» è sufficiente per fondare il risarcimento e, nello specifico, secondo la Cassazione vi ricomprende sia il danno esistenziale (ossia la lesione da perdita del rapporto parentale, da liquidare in via autonoma ed equitativa) che il danno morale, inteso come sofferenza psichica causata dal lutto, che il danno catastrofale, ovvero tutto ciò che è stato patito dall’uomo fra l’insorgere della malattia ed il decesso.
Per quanto riguarda il danno esistenziale, va individuato nell’alterazione futura dell’esistenza futura del familiare superstite, ed è quindi un danno iure proprio; il danno catastrofale invece è azionabile iure hereditatis e consiste nel patimento provato dal danneggiato per la lenta e dolorosa patologia sfociata nella morte. Esso, precisano gli ermellini, deve essere tenuto ben distinto dal danno tanatologico, che è la perdita della vita come massima espressione del bene-salute, e dal danno biologico patito dal de cuiius durante la malattia che lo ha condotto alla morte, accertabile con valutazione medico-legale.
Agli eredi va infine riconosciuto, come anticipato, il danno morale.