Depositata il 18 luglio 2014 la pronuncia numero 31839 della quinta sezione penale in tema di stalking e misure cautelari, avente ad oggetto un ricorso contro l’ordinanza del Gip del Tribunale di Roma che, applicando il decreto legge 78/2013 (Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena), aveva sostituito nei confronti di un soggetto indagato per stalking la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.
Questi i fatti. Il Gip aveva ritenuto che la predetta normativa – che elevava da quattro a cinque anni il limite minimo di pena previsto per l’applicabilità della misura cautelare della custodia in carcere – fosse applicabile immediatamente, con riferimento ai procedimenti pendenti, trattandosi di norma processuale retta dal principio del tempus regit actum. Viceversa, la contestuale modifica dell’art. 612 bis c.p., che innalzava la pena massima per il reato ivi previsto ad anni cinque di reclusione, opererebbe solamente per i fatti commessi dopo la data di entrata in vigore del predetto decreto legge. Alla luce di ciò, la misura cautelare, che era stata irrogata nel rispetto dei requisiti di legge (poichè al momento dell’adozione la pena applicabile all’indagato era non inferiore ad anni 4 e rientrante, quindi, nel campo di applicazione dell’art. 280, nel testo allora vigente), non poteva essere mantenuta perchè la nuova regola processuale imponeva, per la misura custodiale, una pena edittale più elevata; sebbene la misura della pena per il reato di stalking fosse stata elevata con la stessa norma che aveva modificato la norma processuale cautelare, tuttavia per il principio di irretroattività della legge penale (sostanziale) più sfavorevole, all’indagato non poteva essere irrogata la pena attuale fino a cinque anni, ma quella vigente al momento del fatto (fino a 4 anni di reclusione).
Così riepilogata la vicenda, nel caso in esame – scrive la Corte – deve anzitutto osservarsi che la stessa legge che ha modificato le condizioni di applicabilità della misura, innalzandone i limiti, ha altresì e contestualmente elevato la pena edittale del reato contestato all’indagato (art. 612 bis), di modo che lo stesso, anche oggi, rientra tra quelli per cui è possibile irrogare la custodia carceraria.
Il Gip di Roma ritiene che la nuova norma cautelare trovi applicazione immediata, in quanto norma più favorevole, mentre l’innalzamento di pena per l’art. 612 bis, non operi per il principio di irretroattività di cui all’art. 2 c.p.; conseguentemente, ritiene che non sussistano più, oggi, le condizioni per il mantenimento della misura. Tale opinione, che può apparire formalmente corretta, non è tuttavia condivisibile.
In primo luogo occorre tener conto della voluntas legis; tale dato assume particolare rilevanza nei casi in cui la norma sia oscura o si presti a più interpretazioni, giacchè laddove il significato è chiaro od incompatibile con il dichiarato fine del legislatore, il concreto interesse perseguito perde di rilevanza, posto che la legge, una volta emanata, perde ogni legame con il suo autore e vive di vita propria, autonoma. Ma, nel caso di specie, ci troviamo di fronte ad una modifica priva di disciplina transitoria e, dunque, aperta a più soluzioni; il dichiarato fine del legislatore (nel prevedere altresì l’aumento della pena per il reato di atti persecutori) di voler mantenere la custodia cautelare per tale reato, non solo non contrasta con la ratio oggettiva della legge, ma, anzi, è con essa assolutamente compatibile; è la stessa contestualità dell’intervento modificativo delle due norme (art. 280 c.p.p., e art. 612 bis c.p.) ad assegnare al decreto legge, oggettivamente, la volontà di mantenere la possibilità di irrogare la custodia in carcere per tale reato. La soluzione è anche impeccabile sotto un profilo logico, se si pensa che per il reato di stalking l’applicabilità della custodia cautelare era prevista fino al D.L. n. 78 del 2013, ed è altresì prevista dopo la predetta modifica. Se si poteva applicare prima e si può applicare dopo, per quale motivo si dovrebbe revocare una misura legittimamente emessa?
La soluzione prospettata dal Gip di Roma, allora, si manifesta in tutto il suo formalismo. Tuttavia – si legge in sentenza – poichè il diritto è anche forma, e soprattutto deve essere internamente coerente, non basta reperire una soluzione di ragionevolezza, ma bisogna ancorarla a dati giuridici precisi. E’, dunque, possibile risolvere la questione giuridica nel seguente modo.
E’ pacifico che all’indagato non potrà essere irrogata una pena di cinque anni; è altrettanto pacifico che oggi la misura cautelare della custodia in carcere può essere applicata solo per delitti puniti con pena edittale non inferiore, nel massimo, ad anni cinque. Ma, per verificare se all’indagato può essere mantenuta o irrogata la predetta misura cautelare, ci si deve porre un’unica domanda: il reato per cui si procede nei suoi confronti, continua ad essere compreso tra quelli per i quali si può disporre la custodia in carcere? La risposta è positiva.
La nuova norma “processuale” (art. 280) prevede che si può disporre la predetta misura quando si procede per reati che sono puniti, nel massimo, con pena non inferiore ad anni cinque; e l’attuale testo dell’art. 612-bis soddisfa tale requisito. Dunque, anche oggi per lo stalking può essere irrogata (e dunque mantenuta) la custodia carceraria.
Dunque, deve ritenersi tuttora efficace la misura cautelare della custodia in carcere applicata, in relazione al delitto di atti persecutori di cui all’art. 612 bis cod. pen., con ordinanza emessa in data anteriore alle modifiche apportate, al predetto articolo e all’art. 280 cod. proc. pen, dal d.l. n. 79 del 2013 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 79 del 2013).
In conclusione, questi i principi di diritto affermati:
E’ applicabile anche ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore la nuova disciplina dell’art. 280 c.p.p., comma 2, la quale – per effetto delle interpolazioni effettuate dalla L. 9 agosto 2013, n. 94, che ha convertito con modificazioni il D.L. 1 luglio 2013, n. 78 – ha innalzato da quattro a cinque anni il limite minimo del massimo edittale necessario per disporre la custodia cautelare in carcere.
Le condizioni di applicabilità delle misure coercitive devono essere valutate con riferimento alla pena edittale del reato, piuttosto che a quella concretamente irrogabile nei confronti dell’indagato.
Per il reato di cui all’art. 612 bis c.p., continua ad essere applicabile la custodia cautelare in carcere, pur dopo le modifiche introdotte all’art. 280 c.p.p., dalla L. 9 agosto 2013, n. 94, che ha convertito il D.L. 1 luglio 2013, n. 78. Le misure già disposte nella vigenza del testo anteriore dell’art. 280, per fatti anteriormente commessi, mantengono efficacia.
Cassazione Penale, Sez. V, Sentenza n. 31839/14