La posizione di chi esegue operazioni di questo tipo, infatti, dicono gli Ermellini nella sentenza n. 12830 del 6 giugno 2014, è più delicata di quella del chirurgo che fa interventi necessari.
Il chirurgo estetico viene incaricato di agire per migliorare l’aspetto del paziente in qualcosa, ed è pertanto tenuto all’obbligo di richiedere il consenso informato su tutti i rischi che lo stesso può correre, compreso quello di non avere un miglioramento del proprio aspetto esteriore, ma in taluni casi (esponendo le statiche rilevanti in argomento), addirittura un peggioramento.
Solo così, continuano i giudici, il professionista fornisce al cliente l’informazione necessaria ad assumere la delicata scelta che gli compete, cioè accettare il trattamento con il pericolo di non ottenere poi l’agognato miglioramento fisico: se il chirurgo viene meno al suo obbligo, scatta la colpa medica nonostante l’intervento sia stato eseguito in modo corretto.
E ciò, a maggior ragione perché si tratta di un intervento non necessario; più facile, quindi, per coloro che operano nel settore della chirurgia estetica, incorrere in responsabilità, col conseguente obbligo di risarcire il paziente danneggiato.
Tale responsabilità, concludono infine gli ermellini, si fonda sul combinato disposto degli articoli 13 e 32 della Costituzione, che tutelano rispettivamente la libertà personale quale diritto inviolabile dell’individuo e la salute. Il danno risarcibile tiene conto della lesione della dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica, per non essere stato il paziente messo nelle condizioni di assumere una scelta consapevole.