Famiglia: come si calcola l’assegno di mantenimento

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Non esistono parametri fissi che indichino quanto versare per il mantenimento dei figli

L’art. 155 del codice civile, in caso di separazione tra i coniugi, stabilisce i criteri di fissazione dell’assegno di mantenimento:

Salvo accordi diversi (…) ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

1) le attuali esigenze del figlio;

2) il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori;

3) i tempi di permanenza/collocamento presso ciascun genitore;

4) le capacità economiche di entrambi i genitori;

5) il valore economico dei ruoli domestici e di cura svolti da ciascun genitore.

Ciò significa che se il marito (come sovente accade) guadagna più della moglie, dovrà versare di più in proporzione.

Sarà comunque il Giudice a valutare la situazione complessiva e in concreto. In genere la presenza di un mutuo per una nuova casa in cui uno dei coniugi sia andato a convivere con l’altro, o la nascita di un nuovo figlio, generato con il nuovo compagno/a, non viene ritenuto un motivo per ridurre l’assegno a favore dei figli nati dal matrimonio di cui pende la separazione: regola infatti vuole che ognuno mantenga i figli propri.

Da porre attenzione al fatto per cui se non viene versato il mantenimento (o viene erogato in misura insufficiente) si può incorrere nel reato previsto dall’art. 570 codice penale “Violazione degli obblighi di assistenza familiare” che stabilisce:

Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.

Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione.

Secondo l’orientamento costante della Corte di Cassazione, l’assegno di mantenimento deve consentire di conservare il livello qualitativo ed economico tenuto durante il matrimonio. Gli ermellini, infatti, hanno interpretato l’assenza di “adeguati redditi propri” non in quanto stato di bisogno, bensì in quanto carenza di redditi sufficienti ad assicurare il preesistente tenore di vita. Accanto a questo dato fattuale occorre anche la disparità economica tra i coniugi calcolata non solo in base allo stipendio mensile, ma anche alla luce della capacità lavorativa di ciascun coniuge e delle singole potenzialità di produzione di reddito.

Da tenere presente che all’ordinario assegno di mantenimento si aggiunge un contributo per le spese straordinarie (spesso al 50%, ma la percentuale può variare a seconda delle diverse produzioni di reddito), quali in primis, le spese odontoiatriche e quelle mediche non coperte dal servizio sanitario nazionale, le spese per hobby, sport o attività ludiche e formative, quelle scolastiche (ad esclusione della mensa che è già compresa nel mantenimento). Questo contributo va ad aggiungersi all’eventuale assegno di mantenimento erogato al coniuge economicamente più debole.

Dopo il primo anno dalla udienza presidenziale, cioè dalla prima udienza di separazione, l’assegno di mantenimento dovrà essere adeguato agli INDICI ISTAT in vigore a quella data.