Nel caso preso in esame della Suprema Corte di Cassazione, sezione terza, una donna, che aveva portato a termine in precedenza due gravidanze entrambe con taglio cesareo, in occasione di nuovo parto cesareo, si era sottoposta ad un intervento di sterilizzazione. I sanitari avevano rassicurato la donna circa l’irreversibilità dell’intervento e pertanto la stessa non aveva più adottato alcuna misura anticoncezionale. Nonostante l’intervento, la donna rimaneva nuovamente incinta e partoriva due gemelli. La donna e il suo coniuge erano, quindi, venuti a trovarsi con cinque figli a carico, in una situazione di grave disagio economico, anche a causa della sopravvenuta necessità, per la stessa, di lasciare il lavoro.
Risultati soccombenti sia in primo che in secondo grado, i due coniugi proponevano ricorso in Cassazione affidato a due profili di censura, fondati sul comune presupposto dell’inesatto adempimento da parte dei sanitari dell’obbligazione assunta, ovvero, da un lato, aver mal eseguito l’intervento di sterilizzazione, dall’altro, avere omesso di informare sul rischio di insuccesso dell’intervento con conseguente recupero della fertilità.
Ad avviso della Suprema Corte, entrambi i profili di censura meritano accoglimento. Nel caso di specie, infatti, l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) consiste nell’aver tenuto, in relazione alla peculiarità del’intervento convenuto, un comportamento non conforme alla diligenza richiesta, con riguardo sia alla corretta esecuzione della prestazione sanitaria sia a quei doveri di informazione e di avviso “prodromici e integrativi dell’obbligo primario della prestazione”.
Sostiene infatti la Suprema Corte, con sentenza n° 24109/13, che, nella fattispecie, il dovere di informazione è stato assolto in maniera non solo inesatta ma, anche e soprattutto, fuorviante, così da incidere in maniera determinante sul valido e corretto processo formativo della volontà dei due coniugi in relazione alla scelta del momento – e del contesto operatorio – in cui eseguire l’intervento.
In particolare, l’obbligo di informativo non doveva esaurirsi in generiche informazioni sull’operazione e sul carattere irreversibile e permanente della sterilizzazione, ma doveva investire, altresì, i profili di incertezza che invece gravavano sulla definitività della sterilizzazione, “specialmente in considerazione del particolare contesto temporale in cui l’intervento veniva eseguito, rientrando nel comune patrimonio delle conoscenze di un ginecologo – ma non anche di una paziente – che la legatura delle tube, eseguita in occasione di un parto cesareo, essendo i tessuti edematosi, non assicura l’irriversibilità della sterilizzazione e può risultare inadeguata ad impedire la discesa dell’ovulo quando i tessuti medesimi tornano in condizioni di normalità”.