Disconoscimento della paternità

  • civile

DISCONOSCIMENTO DELLA PATERNITÀ
Il termine decorre dalla conoscenza dell’adulterio
Corte di cassazione – Sezione I civile – Sentenza 30 maggio 2013 n. 13638
La Corte di cassazione, con la sentenza 13638/2013, ha sancito che il termine annuale di decadenza per l’azione di disconoscimento della paternità (ai sensi dell’art. 235 cod. civ., comma 1, n. 3, e art. 244 c.c., comma 2, come emendato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 134 del 1985), “decorre dalla data di acquisizione della conoscenza dell’adulterio della moglie e non da quella di raggiunta “certezza” negativa della paternità biologica”.
Alla luce di tale orientamento è stato rigettato il ricorso di un uomo, nel caso di specie il rigetto si è basato sul fatto che è risultata provata la conoscenza della relazione extraconiugale della moglie e la consapevolezza della non paternità oltre un anno prima la proposizione dell’azione.

A tale proposito Cassazione ha determinato che : “una diversa esegesi del predetto art. 244 cod. civ., la quale differisse a tempo indeterminato l’azione di disconoscimento, facendone decorrere il termine di proponibilità dai risultati di un’indagine (stragiudiziale) cui non è dato a priori sapere se e quando i genitori possano addivenire, sacrificherebbe in misura irragionevole i valori di certezza e stabilità degli status e dei rapporti familiari, a garanzia dei quali la norma è, invece, predisposta”.
E oltre che la scoperta va intesa : “nel senso dell’acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto – non riducibile, perciò, a mera infatuazione, o a mera relazione sentimentale, o a mera frequentazione della moglie con un altro uomo – rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere”.
E che “L’obiezione secondo cui la prova biologica, da sola, può dare la certezza della non paternità, mentre l’adulterio, ancorché storicamente accertato, non è in grado di elidere la corrispondenza del dato presuntivo a quello biologico non coglie nel segno, sia perché la verifica in sede giudiziaria si impone nella generalità dei casi (si pensi alla difficoltà di ottenere la prova genetica al di fuori del processo, nel quale soltanto il rifiuto di sottoporsi a prelievi può assumere valenza giuridica), sia perché, dopo la decisione n. 266 del 2006 della Corte costituzionale, si è abolita ogni irragionevole gerarchia, sotto il profilo probatorio, fra dimostrazione dell’adulterio e della non paternità”.