Patteggiamento condizionato alla restituzione del prezzo o del profitto del reato; controlli allargati da parte dell’Autorità Anticorruzione. Con queste novità si è chiusa ieri la votazione della commissione Giustizia del Senato sul disegno di legge anticorruzione. Oggi è previsto il voto sull’ultimo punto, cruciale, ancora da esaminare, il falso in bilancio. Domani mattina, secondo quanto deciso dalla conferenza dei capigruppo, il testo sbarcherà in Aula dove si svolgerà però solo la discussione generale. Urge, invece, l’approvazione del decreto legge sulle banche ormai a rischio di mancata conversone.
«Abbiamo terminato tutto, restano da votare gli emendamenti sul falso in bilancio e i sub-emendamenti che verranno presentati alla proposta del governo». A puntualizzarlo è lo stesso presidente della Commissione, Francesco Nitto Palma, alla chiusura della seduta pomeridiana. Palma spiega che «sono stati approvati alcuni emendamenti in tema di prevenzione, mentre altri, come quello sulla dirigenza Asl, sono stati respinti».
E il capogruppo Pd, Giuseppe Lumia, aggiunge: «Siamo finalmente al dunque, in commissione abbiamo approvato norme severe contro la corruzione. Domani (oggi, ndr) con il falso in bilancio entreremo nel vivo alla luce della proposta positiva fatta dal Governo che ci consente di fare un passo in avanti in questo settore, anche valutando la proposta del Pd depositata che prevede il carcere da 1 a 6 anni per le società non quotate».
Il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri, stempera le critiche al Governo per essersi mosso con forte lentezza nel presentare l’emendamento sul falso in bilancio, allungando così i lavori della Commissione, e ricorda che «sul falso in bilancio i tempi si sono allungati per cercare la soluzione migliore che permetta di raggiungere un punto di equilibrio tra le opposte esigenze, da un lato, di reprimere la criminalità economica e, dall’altro, di non penalizzare la libertà d’impresa». In ogni caso avverte Ferri «le nuove inchieste sulla corruzione, da un lato, segnalano che il problema è quanto mai attuale e grave ma, dall’altro, evidenziano anche che le norme vigenti danno ai magistrati degli strumenti che, sebbene debbano essere urgentemente migliorati, comunque già consentono un forte intervento repressivo dello Stato».
Nel merito, ieri pomeriggio è stata approvata la stretta sul patteggiamento per i reati chiave contro la pubblica amministrazione (corruzione propria, peculato, concussione, corruzione in ati giudiziari, induzione indebita, anche quando esercitati su funzionari pubblici stranieri): sarà possibile l’applicazione della pena concordata con l’assenso del Pm solo in caso di restituzione del prezzo o profitto del reato.
Quanto ai controlli dell’Autorità anticorruzione questi, su proposta del Movimento 5 Stelle, si estenderanno ai contratti secretati esclusi dal Codice degli appalti.
Nel confronto internazionale, la disciplina italiana, che sta faticosamente prendendo forma, si avvicina almeno per quanto riguarda i limiti di pena previsti ai massimi in vigore dalle più severe legislazioni. In primo luogo quella del Regno Unito con il Bribery Act, in vigore dal luglio 2011. Una legge anticorruzione che si applica ad enti e società (“commercial organizations”) inglesi operanti sia all’interno sia fuori dal Regno Unito e agli enti e società non inglesi che svolgono attività, o parte delle attività, nel Regno Unito. La reclusione è fissata a 10 anni, tanti quanti sono previsti, con la proposta del Governo votata dalla commissione Giustizia, per la corruzione propria.
A fare la differenza potrebbero però essere le misure pecuniarie che, come peraltro previsto anche negli Stati Uniti, sono potenzialmente elevatissime sia nei confronti delle persone fisiche sia nei confronti delle società. Nel Regno Unito, in realtà, dopo il Bribery Act, non è fissato un limite di alcun genere.
E una pena fino a 10 anni di carcere è prevista anche in Francia, accompagnata anche da misure pecuniarie con funzione deterrente.