Condannato all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed € 2.000,00 di multa per il reato di cui all’art. 73, 50 comma dPR 309/1990, l’uomo che era stato scoperto “detenere marijuana, all’interno di una camera dell’abitazione adibita a serra artigianale”. Confermato il giudizio di primo grado anche in sede d’appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, ivi deducendo vizio motivazionale e violazione di legge in relazione alla mancanza di prova della destinazione dello stupefacente alla cessione a terzi.
Ebbene, la Cassazione sul punto ribadisce la differenza tra la coltivazione di sostanze stupefacenti nella propria abitazione per uso personale e l’attività di coltivazione e detenzione della stessa con destinazione del prodotto a terzi.
È ancora recente la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che sul punto ha stabilito che la condotta di “coltivazione” non è mai sottratta al rilievo penale, in quanto l’art. 75, primo comma del D.P.R. 309/1990, ricomprende, nella figura dell’illecito amministrativo, solo le condotte di importazione, acquisto e detenzione e non le altre condotte indicate dall’art. 73 e cioè tra le altre la produzione, la fabbricazione, la raffinazione, la messa in vendita ed anche la “coltivazione” delle sostanze stupefacenti. Secondo gli ermellini “sarebbe arbitrario distinguere, ai fini di ricomprendere talune condotte minori nell’area dell’art.75, tra coltivazione tecnico-agricola e coltivazione domestica che dovrebbe invece secondo alcuni rientrare nel genus della semplice detenzione“. (Cass. Sez. Unite 10 luglio 2008).
Nel caso di specie, afferma la Suprema Corte il ricorso è infondato. «Invero – dice – la coltivazione domestica di marijuana non è oggetto dell’imputazione, bensì solo elemento qualificante, attraverso la menzione dello strumentario funzionale ed idoneo alla sua effettuazione, della destinazione ad uso non esclusivamente personale della sostanza rinvenuta, ritenuta frutto della coltivazione: appare esplicitamente contestata, invero, solo la detenzione illecita della marijuana e non già la coltivazione della stessa, benché l’imputato, nel corso dell’interrogatorio, abbia ammesso di coltivare piante di cannabis: ad ogni modo, non risulta l’assenza di contiguità temporale tra le diverse condotte tanto che non è stato computato alcun aumento di pena per la continuazione, con ciò dovendosi ritenere l’unitarietà del fatto-reato, benché sia stata ritenuta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale (Cass. pen. Sez. VI, n. 49528 del 13.10.2009, Rv. 245648).Peraltro – aggiunge – l’incompatibilità della destinazione ad uso non esclusivamente personale è stata desunta dal rinvenuto quantitativo (gr. 62,9 lordi complessivi) definito “consistente” dello stupefacente dotato di efficacia drogante, come tale idoneo al confezionamento di un numero definito “rilevante” di dosi medie (238)».
E, tanto basta ad integrare il reato de quo, oggetto di contestazione.
I giudici di merito, tuttavia, hanno “comunque voluto affrontare la questione della coltivazione domestica che hanno ritenuto essere stata posta in essere nell’appartamento del prevenuto, apprezzando la concreta offensività della condotta desumibile dal quantitativo di droga rinvenuto nell’appartamento e dall’allestimento di un vero e proprio laboratorio per la lavorazione ed essiccazione dello stupefacente: siffatta argomentazione s’appalesa del tutto logica e corretta, onde le censure mosse al riguardo dal ricorrente sono radicalmente prive di consistenza e valore”.
Ciò detto, la Cassazione rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, sentenza 23 gennaio – 31 marzo 2014, n. 14784.